Via Crucis laghetto 2024



 PRIMA STAZIONE - GESÙ AL GETSEMANI (coro)


Dal Vangelo secondo Matteo (26, 36-46) 

36 Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». 37 E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. 38 Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». 39 E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». 40 Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: «Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? 41 Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». 42 E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà». 43 E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. 44 E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. 45 Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. 46 Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina».


In questi passi Gesù si rivela nel suo essere uomo. E’ consapevole di quanto lo aspetta, sofferenza e dolore, e me ha paura. Lo ammette a se stesso, lo confessa al Padre, e noi lo sentiamo vicino: anch’egli, come tante volte noi, vorrebbe passare il calice.

Ma l’amore verso i fratelli e la fiducia nel Padre lo sostengono.

La forza di Dio lo pervade, traccia la strada che, attraverso il sacrificio estremo, porterà alla Luce.

Anche noi a volte siamo sopraffatti dall’angoscia, ci atterriscono le difficoltà e l’incertezza, ci sentiamo sconsolati e ci perdiamo nella ricerca di improbabili vie di fuga.

Impariamo allora da Gesù, affidiamoci al Padre. Ricordiamo di non essere soli. Cerchiamo la mano di Dio per tenerla stretta, lasciandoci condurre sulla sua strada.


SECONDA STAZIONE – GESU’ E’ CONDANNATO A MORTE (Scout)


Dal Vangelo secondo Luca 23,13-25

Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: “Crocifiggilo, crocifiggilo!” Ed egli, per la terza volta, disse loro: “Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò”. Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà.


Barabba: Il mio nome è Barabba e possiamo dire che sono stato il primo uomo ad essere salvato dal sacrificio di Gesù. Ero in carcere per aver ucciso un soldato romano, nel tentativo di liberare il mio Paese dal giogo dell’oppressore. Nell’occasione della festa di Pasqua il governatore era solito liberare un prigioniero e i capi del popolo e i sacerdoti sobillarono la gente perché io tornassi libero e il Cristo fosse messo a morte con la pena della morte in croce. Negli occhi di Gesù non vidi una ribellione, non uno scatto d’ira contro quelli che lo insultavano. Solo un grande uomo poteva comportarsi in quel modo. In quel momento, apparentemente, l'unico che non era libero era proprio lui, Gesù. L’unico legato, senza voce, senza possibilità di fare nulla. Ma quanto veramente Pilato e i suoi interlocutori erano liberi?

Liberi dalle loro paure, liberi dai loro condizionamenti, liberi dalle loro visioni distorte. Ancora mi chiedo il perché io che non lo meritavo venni liberato e lui che meritava la libertà abbia invece dovuto caricarsi la croce sulle spalle e incamminarsi verso il Golgota.


Folla: Tutto il paese era al processo, i sommi sacerdoti ci avevano riunito in piazza per vedere colui che si definiva “il figlio di Dio”. Noi siamo solo dei semplici pastori, artigiani, contadini: temiamo il potere e la ricchezza dei funzionari romani. Quando ci chiamano per presenziare alle assemblee pubbliche, obbediamo abbandonando le nostre mansioni e facciamo ciò che loro si aspettano da noi.

Quel giorno, tutta la nostra rabbia repressa si scaricò su Gesù: non eravamo più noi il bersaglio dei governatori, finalmente ci trovavamo dal lato dei signori e questa potenza ci dava forza. Eravamo in molti e pieni di odio, lui solo e disarmato. Ora comprendiamo che quel giorno ci siamo venduti ai nostri oppressori e abbiamo riservato ad un uomo giusto lo stesso trattamento da noi subito i giorni precedenti e successivi. L’illusione di poter decidere sul corpo degli altri, di contare di più di un altro uomo (per di più il figlio di Dio!) si è tramutata in una ferocia di gruppo a cui nessuno ha avuto il coraggio di ribellarsi. Il ricordo di quel giorno è il più grande imbarazzo che grava sulla coscienza del nostro popolo.


Pilato: Mi chiamo Ponzio Pilato e sono il procuratore di Roma per la Giudea. L'imperatore Tiberio mi ha mandato in questa terra lontana e strana per mantenere l'ordine. Sono un magistrato e non ho paura di assumermi le mie responsabilità. Quando ho deciso di usare il pugno di ferro l'ho usato e tutti qui a Gerusalemme ricordano con quale fermezza ho mescolato il sangue dei galilei a quello dei loro sacrifici. Quanta gente ho dovuto giudicare e quante sentenze ho pronunciato, anche di morte. Eppure, davanti a quest'uomo che mi è stato consegnato con una sentenza già decisa, io non riesco più ad avere certezze. Sono tormentato dalle sue parole e ancor di più dal suo silenzio e dal suo sguardo. Ma i Giudei hanno portato un altro motivo di condanna a morte: Se liberi costui non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re, si mette contro Cesare! Davanti a tutti, allora, ho fatto il gesto di lavarmi le mani per dichiararmi non colpevole del suo sangue.


Gesù: Anche io ho vacillato, ho chiesto al Padre di allontanare da me quel calice. A volte, il Suo volere sembra incomprensibile, ingiusto, spietato. Ovunque guardiamo ci sembra di vedere dolore: guerre, siccità, violenze, morti in mare e in terra. Il Signore mi ha reso umano e come gli uomini mi pongo anche io le stesse domande: come può tutto questo venire da Dio, nostro Padre? A questo pensavo mentre accettavo in silenzio la mia condanna. E nella meditazione mi sono risposto: il Signore mi ha mandato sulla terra per conoscere la paura, l’impotenza, la sofferenza degli uomini e condividerla. Accetterò la mia croce: solo così gli uomini sapranno di essere amati, solo così potranno a loro volta amare.


TERZA STAZIONE - GESÙ È CARICATO DELLA CROCE (Ministri Eucaristia)


Dal Vangelo secondo Matteo (27,27-31) 

27 Allora i soldati del governatore portarono Gesù nel pretorio e radunarono attorno a lui tutta la coorte. 28 E, spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto; 29 intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra e, inginocchiandosi davanti a lui, lo schernivano, dicendo: «Salve, re dei Giudei!» 30 E gli sputavano addosso, prendevano la canna e gli percuotevano il capo. 31 E, dopo averlo schernito, lo spogliarono del manto e lo rivestirono dei suoi abiti; poi lo condussero via per crocifiggerlo.


Per Gesù è l’ora dello scherno, dell’umiliazione.

I soldati si divertono a deriderlo e a spogliarlo.

Il nostro Re resta nudo, esposto alla violenza di tutti.

Gli mettono un manto scarlatto, il vestito del potere e della violenza contro i poveri.

Gesù è, non solo un re mite e di pace, ma addirittura un re impotente, fragile, debole.

In questa sua debolezza manifesta tutta la forza dell’Amore: un Padre che dona la vita.

La potenza di Dio sta in questo amore che rispetta perfino le nostre scelte sbagliate e scellerate.

Ecco l’amore folle di Dio per l’uomo dopo avergli donato la vita e regalato il mondo intero, gli dà se stesso.

Nessuno ha mai visto Dio così: per questo i sacerdoti lo condannano come bestemmiatore e i notabili come ribelle.


QUARTA STAZIONE - GESU’ CADE SOTTO IL PESO DELLA CROCE (Circolo Noi)

Dal Vangelo secondo Matteo 11,28-30

Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero.


Quanti di voi conoscono il Grigri? (mostrare)

Il Grigri è un piccolo attrezzo di sicurezza adoperato dagli arrampicatori. Se l’alpinista perde la presa sul muro che sta scalando, la corda che lo regge viene meccanicamente bloccata, impedendone la caduta. Due persone sono necessarie affinché il Grigri sia utilizzabile: l’arrampicatore, naturalmente, ed un compagno in condizioni di sicurezza che agisca da contrappeso. La persona a terra, la sicura al cui corpo ci leghiamo indissolubilmente per salvarci, assomiglia molto a Gesù, mandato sulla terra a caricarsi sulle spalle la croce, a cadere, a subire lo scherno dei presenti, a rialzarsi.

Quando un arrampicatore perde l’equilibrio, è la caduta stessa ad azionare il meccanismo di bloccaggio della corda e a permetterne la salvezza. Allo stesso modo, anche noi ci rivolgiamo a Dio quando ci sentiamo mancare la terra sotto i piedi, quando quello a cui ci appoggiamo non ci sembra più saldo e sicuro. Dio si è fatto uomo per mezzo del suo figlio, ma si è anche posto al di sotto di noi per garantirci un contrappeso, un appoggio, una sicurezza negli inciampi della nostra vita.

Come gli alpinisti condividono la fatica dell'arrampicata, così anche noi desideriamo riconoscere il Suo volto quando dal basso allevia il peso delle nostre croci. Spartire questo carico con Lui e con tutte le persone a noi care, che sono dimostrazione della Sua presenza, ci dà la forza di salire nonostante lo sforzo. E, come dicono i montanari, “la salita è dura, ma quando arrivi in cima, il panorama è fantastico”.


QUINTA STAZIONE: GESÙ INCONTRA LA MADRE (Catechismo 2^ media)

Dal Vangelo secondo Giovanni 19,25-27

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!” Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!” E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.


Maria è stata senza peccato.

Ha accettato di essere la mamma di Gesù e Gesù, con la sua morte, ci ha liberato dal peccato e aperto la porta del Paradiso.

Maria è chiamata da Gesù ad essere la mamma di tutti noi e Lui ce la dona prima di morire poiché possiamo rivolgerci a Le in ogni momento della nostra vita, affidandole le nostre preghiere.

Lei farà da tramite tra noi e Suo Figlio.

Quando la raggiungeremo in Paradiso, ci accompagnerà a farci incontrare per sempre da Gesù.


SESTA STAZIONE: GESÙ È AIUTATO A PORTARE LA CROCE DA SIMONE DI CIRENE (Gruppo Missionario) 


Dal Vangelo secondo Luca (23,26)

Presero Gesù e lo portarono via. Lungo la strada, fermarono un certo Simone originario di Cirene, che tornava dai campi. Gli caricarono sulle spalle la croce e lo costrinsero a portarla dietro a Gesù.


Simone di Cirene è costretto dai soldati a fermarsi e aiutare Gesù, che è destinato ad una fine di sofferenza e sacrificio, diventando suo discepolo. 

Non si tratta di una chiamata nobile, ma la risposta è immediata. Il Cireneo si vede costretto a vestirsi della croce di Gesù, a vestirsi degli stessi panni del Signore: la compassione, la misericordia e l’offerta di sé. Non indossa semplicemente l’abito della tortura, bensì la tunica del discepolo. Quell’uomo 

tornava dalla campagna, dopo una mattinata di lavoro, non si offre volontariamente ma fermato dai soldati vede la stanchezza di Gesù e mette la sua spalla accanto alla sua per sollevarlo dal peso della croce. 

Quante volte potremmo farci cirenei di chi ci passa accanto, ma restiamo chiusi nel nostro egoismo, non siamo disponibili ad ascoltare l’altro, perché abbiamo sempre troppo da fare, non siamo pronti a soccorrere l’altro, perché “ci son tanti che ci pensano” o non interveniamo quando potremmo, perché 

noi “ci facciamo i fatti nostri”? Quante volte in questi tempi si sente dire che si può fare tranquillamente 

tutto, perché la responsabilità è di altri: essa viene scaricata da uno all’altro e nessuno vuole essere responsabile di nulla. Così, secondo il pensiero corrente, solo uno o al massimo due devono pagare per tutti i crimini e gli orrori che vengono commessi. Ma nella deresponsabilizzazione generale non 

possiamo delegare ad altri il nostro fardello di colpe nell’essere complici di un sistema che non persegue la pace. La conversione del Cireneo ci insegna ad aprire il nostro cuore per riconoscere molteplici espressioni di povertà, ci insegna ad abbandonare la nostra pigrizia per renderci disponibili a portare i pesi degli altri, ci insegna a manifestare il Regno di Dio mediante uno stile di vita coerente con la fede che professiamo. Seguire Gesù comporta un cambiamento di mentalità, cioè accogliere la sfida della condivisione, della partecipazione e della responsabilità. 


SETTIMA STAZIONE – GESU’ VIENE CROCIFISSO (Caritas)


Dal Vangelo secondo Luca 23, 33-38

Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”.

Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte.

Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso se è il Cristo di Dio, il suo eletto”. Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto, e dicevano: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.


Di fronte alla croce stasera, come fu per i discepoli di allora, tutto sembra si sia fatto buio.

Le cose attorno a noi non sono chiare: la storia e i sentieri del futuro per nulla evidenti.

E tu sei lì, solo e abbandonato da tutti, con le braccia aperte, ci guardi e ci accogli, sorelle e fratelli, senza distinzioni e ci ami fino a dare la vita per noi.

Nonostante quanto hai subito, ti ostini ad indicarci una traccia di luce, la memoria del sole, per appoggiarvi la nostra debole fede e ci provochi dicendo: “Vuoi essere mio testimone, per completare la mia opera?”

Balbettanti ci ricordiamo la tua proposta delle beatitudini e dell’invito “prendi la tua croce”; che non è solo sopportare con pazienza le tribolazioni quotidiane, ma anche che ci hai reso capaci di farci carico della fatica che comporta lottare contro ingiustizie – discriminazioni – sofferenze dei fratelli.

Ricordiamo che “anche un solo semplice bicchier d’acqua, dato per amore, non sarà senza ricompensa”


OTTAVA STAZIONE – GESU’ MUORE IN CROCE (In chiesa)


Dal Libro della Genesi 37,3-4.12-13°.17b-28


Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe. I suoi fratelli, vedendo che i loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente.

I suoi fratelli erano andati a pascolare il gregge del loro padre a Sichem. Israele disse a Giuseppe: “Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem? Vieni, ti voglio mandare da loro”. Allora Giuseppe ripartì in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan.

Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono contro di lui per farlo morire. Si dissero l’un l’altro: Eccolo! È arrivato il signore dei sogni! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna! Poi diremo: “Una bestia feroce l’ha divorato!” Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!”

Ma Ruben sentì e, volendolo salvare dalle loro mani, disse: Non togliamogli la vita. Poi disse loro “Non spargete il sangue, gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, ma non colpitelo con la vostra mano”: egli intendeva salvarlo dalle loro mani e ricondurlo a suo padre.

Quando Giuseppe fu arrivato presso i suoi fratelli, essi lo spogliarono della sua tunica, quella tunica con le maniche lunghe che egli indossava, lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna: era una cisterna vuota, senz’acqua.

Poi sedettero per prendere cibo. Quand’ecco, alzando gli occhi, videro una carovana di Ismaeliti provenienti da Galaad, con i cammelli carichi di resina, balsamo e laudano, che andavano a portare in Egitto. Allora Giuda disse ai fratelli: “Che guadagno c’è a uccidere il nostro fratello e a coprire il suo sangue? su, vendiamolo agli Ismaeliti e la nostra mano non sia contro di lui, perché è nostro fratello e nostra carne”". I suoi fratelli gli diedero ascolto.

Passarono alcuni mercanti madianiti; essi tirarono su ed estrassero Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d’argento vendettero

 Giuseppe agli Ismaeliti. Così Giuseppe fu condotto in Egitto.

(Riflessione don Francesco)